Rembrandt realizza il Ritorno del figliol prodigo al termine della sua vita, quando il suo nome è precipitato dalla cima del successo nella solitudine più oscura e nella miseria. Il suo declino ha inizio con la perdita dell’amata moglie, Saskia, modella di molti dei suoi meravigliosi ritratti.
Un lutto che impone una virata brusca alla sua vita minata dalla perdita di quattro figli e segnata pesantemente dal cupo spettro della morte. Con il carico di questo passato Rembrandt muore solo ad Amsterdam il 4 ottobre del 1669, all’età di 63 anni. Lascia tra le poche cose che la miseria non gli aveva sottratto tele sconosciute, tra le quali il Ritorno del figliol prodigo cui dedica il suo spirare dalla vita, avendo come unico committente se stesso.
Il perdono è un sentimento complesso, soggettivo o oggettivo, si perdona l’altro o se stessi e questo è ancora più difficile in un percorso che non ha tempi stabiliti. Rembrandt iconizza in un’unica scena le sfumature di questa parabola rendendo tangibili i sentimenti del figlio che viene perdonato, del padre che perdona e del fratello che non riesce a perdonare. Scorrendo con una lente di ingrandimento la tela si possono osservare alcuni dettagli.
Il padre
Insieme al figlio è protagonista di questo fermo immagine della famosa parabola raccontata da San Luca. I due occupano il lato sinistro della tela, non il centro, ma la luce sapientemente dipinta secondo i modi caravaggeschi attira l’occhio dello spettatore sull’insieme. Il padre, rappresentato con vesti sontuose e dettagli d’oro, si china per avvolgere il figlio in un abbraccio.
Gli occhi sono socchiusi, consumati dall’attesa, ciechi ad ogni peccato compiuto, perchè il perdono passa per la capacità di andare oltre tutto ciò che si è visto, oltre ciò che è visibile. La mano destra, dalle dita sottili e longilinee, femminile, è la delicatezza materna che accetta ogni peccato; la sinistra più tozza e robusta, maschile, è la forza dell’autorità paterna che guida e interpreta la vita per il figlio. Il mantello rosso domina la figura, ne definisce lo status e l’autorità, è lo stesso rosso che indossa l’uomo alla destra, sdegnato e distante: il fratello.
Il fratello
Si poggia su un bastone, la luce illumina il suo volto in modo circoscritto, non si spande. Separato e distante, per la posizione che occupa nella raffigurazione, per il sentimento di sdegno che lo allontana dalla comprensione del padre. I suoi occhi vedono, scorrono davanti al suo sguardo i ricordi di tutte le mancanze del fratello, non è possibile per lui accogliere. E’ così simile al padre per le vesti preziose e decorate, la barba, il mantello rosso; ma il portamento designa i diversi sentimenti.
Il padre si piega per accogliere il figliol prodigo che avvolge col mantello suntuoso: «Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò». Il fratello domina ritto la parte destra della scena, fermo nella sua posizione, col mantello che scende, chiuso, fino ai piedi: non riesce a perdonare il fratello come dimostrano le mani chiuse, serrate l’una sull’altra a stringere il bastone.
Il figlio
Abbraccia le ginocchia del padre secondo l’antico atteggiamento di remissione, col volto poggiato verso destra. I vestiti logori, che contrastano con la piccola spada preziosa che porta al fianco destro, retaggio della sua origine nobile. La testa rasata, nel segno del pentimento e dell’umiltà raggiunta. Un piede scalzo e ferito segnato dalla strada tortuosa che ha percorso, l’altro coperto d’una scarpa logora per il lungo viaggio. Il figlio torna dopo aver tradito l’autorità del padre e aver vagato per una strada sua che lo riconduce al padre. Solo dopo aver perso tutto, come dimostra la borsa vuota che pende alla sinistra, trova la forza di tornare e chiedere perdono.
Rembrandt, al termine della sua vita, sceglie di raffigurare la conlusione della parabola del ritorno del figliol prodigo raccontata nel vangelo di Luca. Pone al centro un padre, cieco come lui nell’ultimo periodo, che conosce il dolore della perdita d’un figlio, come lui che li ha visti andarsene uno dopo l’altro. Pone al centro il figlio, che ha dissipato la sua vita nel peccato, come lui, e ora chiede perdono.
Ad uno sguardo d’insieme rimane un interrogativo: qual è davvero il figlio da salvare? Il figlio perduto che torna dopo aver rinnegato tutto o il figlio la cui luce non si spande, rimane limitata al suo volto, perchè non sa guardare oltre e non riesce a perdonare? Il mistero è nelle mani del padre: autoritario (la mano sinistra) quando deve porre limiti al figlio, limiti rispetto ai quali non indietreggia perché ne conosce il valore vitale, limiti per i quali il padre è disposto a perdere il figlio, lasciarlo libero di andare; amorevole e materno (mano destra) quando deve abbracciare tutti i peccati e i rifiuti del figlio per accoglierlo di nuovo nella sua famiglia.
PER APPROFONDIRE
- Fabio Geda, Se la vita che salvi è la tua link Einaudi
- Pier Giorgio Gianazza, Dio padre amoroso. Contemplando la tela di Rembrandt link Note pastorale giovanile